venerdì 14 gennaio 2011

Per un dialogo con i vivi di tutte le età


Contro le canaglie



Nell’Italia che ammira i furfanti di successo la parola indignazione può avere un suono ridicolo. Non la ribellione a quanto offende la dignità propria e degli altri. Bensì una maschera moraleggiante e ipocrita con cui dissimulare frustrazione e invidia per chi ha saputo meritarsi denaro e potere, non importa come. Diciamo la verità, qui da noi tra una simpatica canaglia e uno sdegnato galantuomo non c’è partita. Non tutto è perduto, però. Forse anche Stéphan Hessel quando ha dato alle stampe in Francia il suo breve pamphlet pensava a una cerchia ristretta di lettori. Un prevedibile insuccesso per vari motivi. L’età dell’autore, innanzitutto: 93 anni. Si sa la vecchiaia non è mai attraente, e poi cosa avrà mai di interessante da raccontarci l’arzillo nonnino? Ecco le prime righe: “Ricordare le radici nel mio impegno politico negli anni della Resistenza”. Oddio la Resistenza, massimo rispetto, per carità, ma stiamo parlando di un secolo fa. E come s’intitola questo polveroso mattone? Indignez- vous!. Mamma mia, chissà che noia.

Ebbene: oltre 500 mila copie vendute in pochi mesi. Le librerie prese d’assalto. Le prime pagine sui principali giornali e grandi dibattiti in tv. Insomma, Hessel superstar. Merito di concetti come questo: “Dobbiamo vegliare tutti insieme affinché la nostra società resti una società di cui andare fieri. Non la società dei sans papier, delle espulsioni, dei sospetti nei confronti degli immigrati, non la società che rimette in discussione le pensioni, le conquiste sociali, non la società nella quale gli organi di informazione sono in mano ai ricchi, tutte cose che avremmo rifiutato se fossimo stati gli autentici eredi del Consiglio Nazionale della Resistenza”. Naturale che siano stati soprattutto i giovani francesi ad indignarsi proprio come Stéphan Hessel. Se non ci fosse stato il suo libro non avrebbero mai saputo che alla base della democrazia conquistata con il sangue di tanti c’erano principi e valori ispirati a una organizzazione razionale dell’economia sottratta al potere delle grandi banche. Stéphan e i suoi compagni avevano combattuto contro il nazismo. Ma anche per un futuro che garantisse una stampa realmente indipendente e un’istruzione di qualità per tutti i bambini francesi senza discriminazione alcuna. E allora cominciamo a indignarci anche noi. Contro l’arroganza delle canaglie al potere. Contro la pavidità di certi oppositori sempre pronti a piegare la schiena davanti alla legge del più forte. Può aiutarci questo piccolo libro di un anziano signore rimasto fedele ai suoi ideali di gioventù.

Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2010

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Commento del 14-1-11 di Sergio Ghirardi:

Provo a mettere in circolo poche banalità di base oltre i tabù ideologici che tendono a renderle irricevibili.

Chiunque si ispiri a dei valori di uguaglianza, libertà e fraternità non può che essere indignato di fronte a una società planetaria dove tutte le conquiste sociali sono state erose da un’offensiva produttivistica e consumistica in costante accelerazione da mezzo secolo. Una tale alienazione, tuttavia, ha radici ben più antiche nella struttura economicista della civiltà del lavoro.

Già un uomo sensibile come Orwell, denunciando per primo il rischio del Big Brother, opponeva la Common Decency di una società umana al cinismo sfruttatore di cui Marchionne non è oggi che una infima, cinica e modernissima rotella.

Continuo a credere, però, che la decenza e l’indignazione debbano appoggiarsi su un progetto di felicità collettiva che includa e non escluda le diversità, costruendosi sul dialogo tra i soggetti e sulle identità al di là delle differenze.

Sapersi ancora indignare a 93 anni è già uno stupendo dono ai propri simili, indizio di una commovente volontà di vivere, ma ai giovani che vorrebbero oggi costruire il mondo in cui realizzare una vita degna di questo nome non può bastare l’indignazione. Ci vuole un radicale rovesciamento di prospettiva.

Parole distorte e manipolate come utopia, rivoluzione sociale e superamento del modo di produzione capitalistico chiamano le coscienze alla riflessione e all’esplorazione di un nuovo mondo, oltre le rovine del vecchio in cui sopravvviviamo sempre più a stento.

Da sempre l’evoluzione della società ha avuto bisogno di rotture. L’arte sta, ora, nel non fare di questa necessità un alibi per la violenza dell’estremismo nichilista o per quella di uno statu quo totalitario che chiama terrorista chiunque gli si opponga.

Credo fermamente che oltre indignazione (sacrosanta) e common decency (necessaria), l’alternativa stia storicamente tra terrorismo (del potere o dell’antipotere) e rivoluzione sociale condivisa, in nome di un’emancipazione umana finora mai realizzata se non come privilegio di pochi.

Discutiamone.