venerdì 14 gennaio 2011

Ricordando che la verità è rivoluzionaria




Pierfranco Pellizzetti da il Fatto


Nella politica nazionale attrezzata a set da reality, la finzione si trasforma nell’unica verità disponibile. Come dimostrano in maniera flagrante i temi all’ordine del giorno nel nostro dibattito pubblico.

Il re del casual prestato alla Fiat,
Sergio Marchionne, dichiara di voler americanizzare le relazioni industriali italiane allo scopo di migliorare produttività e competitività. Quando, invece, deve mandare un messaggio rassicurante al suo azionista di riferimento effettivo: i fondi d’investimento d’oltreoceano. Insomma, la verità è che la partita reale si sta giocando altrove, compresa la scelta se proseguire o meno a fabbricare macchine nel Bel Paese. Ma dato che noi continuiamo a guardare il reality, dobbiamo pure sorbirci le chiacchiere estemporanee sulla flessibilità che fanno arricciare di goduria il baffetto degli Ichino come le vibrisse di un gatto, dobbiamo assistere alle acrobazie senza rete dei Bonanni e degli Angeletti per far credere di essere ancora dei sindacalisti e non un caporalato della manodopera.

Altro tema, altro regalo: la Corte dei Miracoli della Lega, scesa dalle valli prealpine sulle ali del vento del Nord, ci costringe da tempo a ingurgitare mestolate indigeste della
casseula soprannominata “federalismo”. Anche perché, tra una gutturale e l’altra, hanno imposto come verità di fede il principio che l’attuale ordinamento italiano è “statalistico”. Dato che “statalismo” significa un regime invadente e oppressivo, che tutto controlla e dovunque interviene, sarebbe interessante appurare dove gli occhi sbarrati dell’inquartato odontotecnico Calderoli o quelli furbetti del piccolo ranger cattura-latitanti Maroni si siano posati, per vedere all’opera l’overdose di controllo e intervento in questo Paese, dove l’anarchia è legge consolidata da usucapioni pluridecennali. Non certo nei fiumi lumbard, inquinati al punto che ormai i rari pesci che vi sguazzano (“trote” comprese) hanno dovuto adottare bombole e boccaglio; di sicuro non nelle coste dei nostri mari, dove la cementificazione speculativa ha raggiunto livelli tali che i bambini sono costretti a dotarsi di martello pneumatico e piccone se solo hanno maturato l’idea peregrina di costruirsi un bel castello di sabbia, classico divertimento da spiaggia.

La verità è che la banda guidata dal pataccaro da foro boario Umberto Bossi vuole consolidare la crescita elettorale trasformando i collegi padani in un vero e proprio
feudo, dove esercitare signoraggio e riscossione delle decime (stia attento, il Gran Capo, in materia di jus primae noctis, visti precedenti coccoloni).

Eppure – secondo le imperanti regole della
fiction – c’è subito la palla di pelo filosofica, il Cacciari di turno, che pontifica con aria pensosa su “questioni settentrionali” di pura fantasia e dialoga in spirito con il teorico della Lega che-ha-ballato-solo-una-estate, la bonanima del professor Gianfranco Miglio, uno snob che girava per Venezia travestito da blasé austriaco (con martingala e pantaloni alla zuava, ma lui era di Como), reo di aver fornito un vocabolario purchessia agli smandrappati con le pezze al sedere al seguito del Senatur. Quel Senatur che lo liquidò con l’elegante viatico di “peto nell’universo”. Però lui non disse “peto”.

Venghino signori, venghino. Perché la televendita di panzane cosmiche continua oltrepassando Tevere. Ecco il turno di papa Ratzinger, intabarrato nei pittoreschi e candidi vestitini mantellina annessa, che squittisce con quella vocina da “topino di Germania” (da pronunciarsi con la voce del professor Franz Kranz alla Paolo Villaggio): insegnare l’educazione sessuale minaccia la libertà religiosa. Magari c’è il rischio che i giovanissimi imparino a stare in guardia da certe tonache e dalle loro pulsioni pedofile. Ovviamente il destro più ammirato dalla sinistra, il satanasso libertino Giuliano Ferrara, ha subito fatto finta di prendere sul serio la faccenda, esprimendo convinta solidarietà al Sacro Soglio e al suo Massimo Pontefice. Si attendono analoghe prese di posizione da parte di Lele Mora, Flavio Briatore e altri monaci trappisti. Una volta dismesso il cilicio con cui mortificano i loro sensi e si predispongono alla meditazione.

Un corteo carnascialesco che si chiude con il massimo imbonitore nazionale, il presidente del consiglio
Berlusconi. Il quale da Berlino manda a dire che il governo non fa le riforme (?) per l’intemerata e aggressiva opera dell’opposizione. In realtà, gente che si guarda bene dal contrastare il suo potere devastante, visto che senza di lui non saprebbero cosa fare, come giustificare la propria presenza. Difatti lo salvano regolarmente, nella bicamerale dalemiana o in campagna elettorale, quando corrono per perdere (non è vero, Veltroni?). Persino i più tosti a parole, sono filo-Berlusconi nell’animo. Tipo Antonio di Pietro, che – servizievole – fa eleggere nelle proprie liste i futuri puntelli del Governo (da Di Gregorio agli Scilipolti e Razzi).

Concludendo, c’era una piccola ebrea polacca, chiamata
Rosa Luxemburg, che una volta disse: “La cosa più rivoluzionaria è dire la verità. Se lo sanno quelli del reality, ci costruiscono subito sopra un bell’originale televisivo con Ruby Rubacuori protagonista.

*****

Quando negli anni sessanta, a Genova, frequentavo il circolo Rosa Luxembourg non avrei mai immaginato che mezzo secolo dopo per opporsi da “liberal” all’Italia mafiosa del totalitarismo economicista sarebbe diventato necessario citare una meravigliosa signora sinceramente comunista e libertaria contro la quale Lenin ha scritto “L’estremismo malattia infantile del comunismo”. Che le sue idee rivoluzionarie e antiautoritarie riaffiorino ora, oltre le contrapposizioni ideologiche, mi pare il segno che il vaso dell’alienazione e dello sfruttamento produttivista è colmo e che anche chi non immagina nessuna rivoluzione sociale trova ormai insopportabili il cinismo, la volgarità e la confusione che regnano nelle coscienze dei cittadini spettatori della società dello spettacolo.

Non c’è dubbio: i tempi della storia difficilmente coincidono con i desideri e con le coscienze individuali, ma ecco riemergere dall’oblio programmato e diffuso, l’esempio commovente di una rivoluzionaria “indignatasi” fino a vivere e (purtroppo) morire per le sue idee d’emancipazione.

Vivere per delle idee e morirne di morte lenta, ecco un progetto che anche Brassens avrebbe condiviso. Rifiutare di subire i ricatti dei padroni delle ferriere che intascano milioni e offrono cadenze infernali e salari di miseria; pretendere di abolire un mondo alla rovescia per costruire una società fondata sul diritto per tutti a una vita degna. Se non si vive almeno per questo per che cosa si vive e ci si indigna?

Spartaco che vive e che lotta ancora contro il capitalismo liberale e contro il capitalismo di Stato cosiddetto comunista, se mai una qualche burocrazia osasse riproporlo. Quando la storia si decide a bussare alla porta, il faut choisir son camp, camarade, altrimenti non si nasce e non si vive, ma si vegeta subendo i diktat di un potere mafioso e attendendo di morire con un telecomando in mano.

Sergio Ghirardi