Lo svolgimento del referendum sulle centrali nucleari è l’occasione per riconsegnare sovranità ai cittadini su una politica energetica nazionale requisita dalle lobbies e preclusa agli orizzonti della sostenibilità e della democrazia. Una consultazione popolare evoca partecipazione, impossibile se non c’è rigore nell’informazione, se non si dà spazio al pluralismo di opinioni e se le opzioni contrapposte non sono chiaramente leggibili. Questo richiede di capire che le scelte in discussione, comprese le alternative, devono reggere ad un esame di ragionevolezza e quindi che il gioco vale la candela. Nel caso dell’energia nucleare, l’esaurimento assai prossimo e inevitabile dell’uranio decreta di per sé l’insensatezza di approntare ex novo una filiera di reattori nel nostro Paese.
Di fronte alla presa di coscienza dell’imminenza del picco del petrolio, la prima reazione emotiva è “allora useremo l’uranio”. In effetti, l’energia nucleare è spesso presentata come il toccasana che risolverebbe tutti i malanni e che ci permetterebbe di superare senza danni la crisi energetica ormai in corso da qualche anno. Tuttavia, i fautori dell’energia nucleare glissano sulla questione della disponibilità di uranio, il quale è una risorsa minerale limitata, così come lo è il petrolio. Quanto uranio abbiamo, realmente? È possibile che siamo vicini al “picco dell’uranio”, allo stesso modo in cui ci stiamo avvicinando al picco del petrolio?
In effetti, si tratta di fonti e di forme di conversione di energia molto diverse: mentre petrolio, gas e carbone hanno a che vedere con la combustione istantanea di forme di vita alimentate dal sole migliaia di secoli fa e accumulate nelle viscere della terra, per l’uranio si tratta di trasformazione per via artificiale e controllata di massa in energia. L’uranio è un “combustibile” che non brucia e che si è formato indipendentemente dall’esistenza di forme vitali e in tempi ben più remoti, relativamente più vicini alla grande esplosione iniziale, il big bang. Per capirne l’origine, le miriadi di stelle che vediamo sono il motore della costruzione incessante, nel processo di fusione nucleare, di atomi sempre più complessi a partire dal più leggero idrogeno, fino a quelli stabili come il ferro e a quelli assai più instabili con numero di massa alto, come l’uranio 235. Un elemento non rinnovabile che, proprio per la lunga sequenza di fusioni nucleari da cui proviene, è abbastanza diffuso, ma relativamente scarso e perciò drammaticamente esauribile sul nostro pianeta.
Come dirò di seguito, tutti i fattori che agiscono sul picco del petrolio, compresi quelli di natura economica, determinano il rapido esaurimento anche del “combustibile” dei reattori. È solo l’idea di superpotenza e di enorme densità energetica dei processi atomici che avvengono nel nocciolo del reattore o nel cuore di una bomba che fa pensare a tempi illimitati di durata. Ma se parliamo del minerale di uranio – ossia la roccia estratta dalla miniera che va successivamente purificata e trattata per essere utilizzata nel reattore – dobbiamo pensare ad una densità energetica dello stesso ordine di grandezza dei combustibili fossili di cui si profila il picco nei prossimi anni. Cioè, quantità equivalenti in peso (ad esempio tonnellate di roccia contenente uranio e tonnellate di carbone) producono effetti energetici analoghi e si consumano in tempi confrontabili. Anzi, essendo più scarso, il minerale di uranio che è in gioco da poco più di 50 anni avrà alla fine una durata complessiva sulla scena inferiore a quella del carbone o del petrolio, che sono in uso da qualche secolo in più.
Di conseguenza, le riserve di minerale convenienti e utili e la loro durata sono tutt’altro che illimitate e sono determinate dal costo del combustibile sul mercato (che non deve essere superiore a 130 $/Kg per competere con il costo dei fossili), dalla percentuale di uranio presente nelle rocce, dalla potenza totale dei reattori funzionanti, dal ciclo di arricchimento (7 Kg di uranio purificato danno luogo solo ad 1 Kg di uranio arricchito). Tenendo conto di tutti questi fattori e per essere utilizzato economicamente nella fabbricazione del combustibile da destinare alle centrali nucleari, il minerale deve possedere delle concentrazioni di ossidi di uranio che non possono scendere al di sotto della soglia dello 0,01%. Tenendo presente che il consumo annuale di uranio arricchito nel mondo è oggi di 11.521 tonnellate (circa 70.000 t. di uranio “purificato”) e che si stima che sia possibile estrarre a meno di 130 $/kg al massimo 5,5 milioni di tonnellate di uranio “purificato”, di cui 3,3 milioni sono rappresentate da quelle ragionevolmente sicure, si va da una disponibilità di 46 anni ad un massimo di 78 anni. Questi calcoli ipotizzano che il consumo rimanga costante, ovvero che non entri in funzione nessuna nuova centrale se non per sostituire impianti chiusi.
Un’ultima osservazione: sembrerebbe che anche l’uranio abbia già passato il proprio picco di estrazione, dato che già oggi vengono in soccorso le scorte militari (provenienti dallo smantellamento delle testate atomiche), che oggi costituiscono il 33% della produzione per soddisfare la domanda di reattori esistenti. Comunque, nemmeno l’impiego di tutto l’uranio contenuto nelle armi nucleari disponibili sposterebbe di molto la fine del minerale. Si può fare un rapido calcolo. Il totale delle bombe atomiche costruite da Russia e Stati Uniti insieme ha raggiunto qualcosa come 70.000 unità negli anni ’80. La maggior parte di queste bombe sono però già state demolite. Ci sono volute 15.000 bombe atomiche Russe per generare 375 tonnellate di uranio ad alto arricchimento. Questo uranio è stato poi trasformato in uranio a basso arricchimento (utile per le centrali) per un totale di circa 11.000 tonnellate.
Dai dati riportati, sembra di poter dedurre che questa quantità è equivalente a circa 80-100 mila tonnellate di uranio minerale “purificato”. Non è una quantità enorme. Oggi rimangono circa 6000 testate nucleari negli Stati Uniti, mentre pare che la Russia, secondo l’ultimo trattato Salt, ne abbia poco meno di 1500, il che significa che si potranno smantellare circa 7000 testate. Fatti i dovuti conti, queste testate corrispondono a più o meno 50.000 tonnellate di uranio minerale. Se il gap tra l’estrazione corrente e il consumo è oggi intorno alle 20.000 tonnellate, entro meno di dieci anni, l’uranio proveniente dalle bombe nucleari si esaurirà. Da quel momento per l’uranio per le centrali nucleari dovremo dipendere unicamente dalle risorse minerarie.
In definitiva, i calcoli più accurati e più ottimistici dicono che, arsenali militari compresi, avremo a disposizione uranio ancora per un minimo di 55 e un massimo di 85 anni, sempre che il parco reattori non aumenti (e il prezzo non scoraggi l’estrazione). Tenuto conto che le prime nostre centrali non entrerebbero in produzione prima di un decennio, non riesco a capire quale sia la convenienza di un “ritorno lampo” dell’atomo, come invece vorrebbe darci a intendere lo scacchista dello spot del Forum Nucleare Italiano in onda su tutti i media in queste settimane. Credo che in base a queste considerazioni fatte, allo scacchista non resti che abbandonare sconfitto la partita.
Mario Agostinelli, Il Fatto, 13 gennaio 2011
Ghirardi Sergio 14 gennaio 2011 alle 13:48
Ottimo articolo fondato su dati e su fatti concreti. Purtroppo i credenti ottusi e i sacerdoti corrotti del nucleare contano sul modernismo demagogico di un concetto di progresso appiattito sul calcolo del redditizio a breve termine e dunque del produttivistico senza limiti. Per questo non si imbarazzano né dei rischi evidenti (incidenti avvenuti o rischiati di un soffio in continuazione) né delle questioni ancora insolubili (le scorie)e ancor meno della carenza più che prevedibile di uranio.
Se anche non arrivassero (speriamolo!) a far veramente funzionare le centrali il solo metterle in progetto è già un business lucroso e mafioso. Questo è il solo criterio effettivamnete operativo per tutti gli statisti del portafoglio che si pretendono politici.
Per salvarci dal nucleare senza affatto tornare alla candela è dunque prioritario denunciare e combattere la corruzione capitalistica e le multinazionali che se ne nutrono, anche se l’informazione fattuale e puntuale è certamente un elemento importante per il ritorno di una coscienza politica oggi ridotta a una morale da servi consumatori.
grifo scrive: 14 gennaio 2011 alle 14:11
Finalmente uno che ha capito tutto ….C’era una volta una sinistra progressista, che amava il progresso e l’innvazione scientifica e tecnologica, che pensava in grande e che almeno a parole non aveva paura di osare e rischiare per migliorare la condizione del popolo.
Che si identificava nella famosa frase di Lenin ” Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese” Poi è successo qualche mostruosa mutazione genetica e la sinistra è diventata reazionaria conservatrice e paurosa, demonizza il progresso, ha il terrore del nuovo ed è pronta a credere a tutte le balle più inverosimili che attribuiscono gli effetti più nefasti alle nuove tecnologie. Mi chiedo per continuare a crederci e prima di cambiare definitivamente se è solo un senso di colpa per vari disastri del comunismo o c’è propio un cambiamento radicale?
Jack scrive: 14 gennaio 2011 alle 14:19
E infatti era una favola, come tutte le cose che cominciano con “C’era una volta…”
monty_burns scrive: 14 gennaio 2011 alle 14:36
Ma che cavolo di discorsi fai grifo? La sinistra non è più “modernista” perché non fa più sua l’idea di progresso espresa da Lenin circa 100 anni fa? Eppoi scusa, mi dai una definizione di modernità, ed una di progresso? Possibilmente attualizzate al ventunesimo secolo.
grifo scrive: 14 gennaio 2011 alle 14:57
Un semplice semplice esempio di modernità, ritorno a un concetto espresso precedentemente: Si sta meglio in Svezia dove si installano centrali nucleari e in Finlandia dove costruiscono un sito di stoccaggio scorie piuttosto che in Congo, Sudan e Etiopia dove neanche ci pensano…
monty_burns scrive: 14 gennaio 2011 alle 15:19
Vabbè grifo il tuo esempio è debole: analogamente ti potrei rispondere che si sta meglio in Germania che in Kazakistan o in Bangladesh…In realtà ti avevo chiesto una cosa diversa: i concetti di modernità e progresso non si dovrebbero enunciare con leggerezza, ma sapendo cosa si intende dire altrimenti si parla in modo generico e qualunquista.
Jack scrive: 14 gennaio 2011 alle 15:42
Quindi, seguendo il tuo ragionamento, dovremmo convenire che in Iran, non ora, ma appena si doteranno delle centrali che l’occidente non vuole fargli fare, si vivrà meglio che in Croazia, o Danimarca, o anche Italia, perché no?
monty_burns scrive: 14 gennaio 2011 alle 15:56
Ah ancora una cosa grifo: in Congo, Sudan, Etiopia, non ci pensano perché la loro priorità assoluta è l’approvvigionamento dell’acqua potabile, non la produzione di energia elettrica.
Mi offri la sponda per parlare di acqua: quanta ne richiederà lo sviluppo di politiche energetiche basate sul nucleare, considerando le grandi quantità che servono non solo al raffreddamento del reattore, ma anche e soprattutto all’attività mineraria? Non è un piccolo problema nella considerazione sull’impatto che il nucelare avrà sulla prosperità sociale, per ora non ne parlo in questo poco spazio (e nel poco tempo che ho).
Armando scrive: 14 gennaio 2011 alle 14:39
Grifo, quella sinistra c’è ancora: è diffusissima in tutta Europa, in alcuni paesi del Sudamerica e negli USA. Anche in Italia ha validissimi rappresentanti, ma ha un po’ paura di farsi vedere.
bruno scrive: 14 gennaio 2011 alle 19:17
hai anche capito perche ln Italia le regioni con giunta di governo che vogliono il nucleare non lo vogliono nella propria regione?Non è per il pericolo di gravi incidenti,altrimenti la vicinanza o lontananza da noi è uguale come pericolo,ma per le microperdite continue delle acque e dei vapori che ci sono sempre intorno a una centrale ma nonvalutati rischiosi perchè sotto soglia,ma chi ci abita sa che non è vero con un notevole aumento di tumori.Noi rispetto agli stati nord europei avremmo qualche risorsa in più da sfruttare aspettando il nucleare pulito
Ghirardi Sergio scrive: 15 gennaio 2011 alle 11:09
Quel poco che so è che nella citazione di Lenin il problema non è l’elogio dell’elettrificazione ma la menzogna vergognosa sui soviet. I bolscevichi erano nemici del comunismo libertario dei soviet e hanno ripreso lo slogan svuotato dei suoi contenuti dopo aver sterminato fin dal 17 i veri soviet a Kronstadt, poi nell’Ucraina machnovista, le purghe, i vari satelliti totalitari ecc.
Tra l’anticomunismo viscerale e il comunismo autoritario ha circolato sempre una stessa idea di progresso capitalistico liberale o di stato. Il comunismo non ha fatto misfatti perché non è mai esistito se non come meravigliosa ed effimera creazione spontanea di una base sociale proletaria repressa prima nella Comune, poi nel 17 in Urss, poi in Spagna nel 36/37 ecc.
l progresso di una società capitalista, produttivistica e tecnologica, è discutibile dal punto di vista della felicità umana, parametro del solo progresso che dovrebbe interessare gli umani, appunto. Contro ogni primitivismo, oscurantista quanto il papa e le sue ranocchie da acqua benedetta sempre pronte a sacralizzare l’osceno e il reazionario per amore perverso della sofferenza, è l’armonia mobile tra la modernità critica e la selezione affinata degli usi antichi che dà il livello di “progresso” di una civiltà.
La civiltà del lavoro è finita e noi sopravviviamo a stento nel suo cadavere che si muove ancora.
La capacità di godere individualmente della vita in una società armonica collettivamente è ciò che manca di più e dà origine a tutti i fascismi del passato e del presente. Sul fascismo di sempre invito alla lettura di un classico dimenticato: Psicologia di massa del fascismo, di W. Reich (1933).
Questa mia piccola riflessione sgambescia e collaterale al tema del nucleare ha lo scopo di allargare un dibattito che credo necessario, oltre la tendenza diffusa a battersi su qualunque tema per mostrare di avercelo più lungo ideologicamente.