Avevo tradotto poco
tempo fa il testo di un articolo di sostegno solidale con la resistenza greca
al totalitarismo finanziario firmato su Libération
da Yannis Youlountas e Raoul Vaneigem.
La mia lunga
amicizia e stima per Raoul mi aveva spontaneamente indotto a evitare qualunque distinguo
per ripercuotere immediatamente uno slancio di solidarietà con l’obiettivo per
me evidente di sostenere una resistenza che si annuncia difficile e che ci
riguarda tutti.
I segnali di un ospedale
e di un giornale gestiti rispettivamente da medici, infermieri e giornalisti
non garantivano certo di una radicalità diffusa in tutto il paese, ma era
perlomeno il segno invitante che le idee di democrazia diretta e di
autogestione generalizzata della vita quotidiana stavano aprendosi un minimo varco
nella situazione greca. Diciamo, modestamente, che di là dalle solite
infiltrazioni avanguardistiche autoritarie e recuperatrici andavano nel senso
auspicabile.
Nessun facile
ottimismo poteva certo far pensare al crescendo di una coscienza radicale diffusa,
ma valeva la pena di farsi i relatori di qualche crepa nello schermo levigato
della società dello spettacolo.
Non mi stupisce,
però, che ora, chi vive sul posto la complessità della situazione, abbia sentito
il bisogno di qualche distinguo necessario. Considero, anzi, un’ottima
operazione dialettica che ciò abbia spinto Vaneigem ad aggiungere qualche
precisazione e una rapida messa a punto.
Vi restituisco il
tutto con la stessa passione radicale che applico meglio che posso ogni giorno alla
mia vita quotidiana.
Sergio Ghirardi
Lettera dalla Grecia:
Caro Raoul,
grazie per il tuo libro che è davvero bello! La
traduzione è già in corso ad Atene e sarà presto pronta. Ti rinnoviamo anche
l’invito per Maggio se sarai disponibile.
Dopo aver letto il recente articolo su Liberation da te
firmato a quattro mani in solidarietà alla Grecia, crediamo importante far
seguire un nostro breve commento sul mutamento ideologico che sta avvenendo in
Grecia su due punti in particolare:
1) si sta promuovendo un’ideologia degli “estremismi” per
incanalare e controllare la vera radicalità.
2) i significati dei concetti di democrazia diretta e di
autogestione sono usurpati e distorti.
Calorosi saluti e
grazie di tutto, Lia e un gruppo di compagni greci
Grazie a dio non siamo tutti greci !
1. Un nuovo contratto sociale con gli “estremismi”.
Una larga parte della popolazione in Grecia, un’ampia classe media ha
scelto per anni di accettare che il lavoro di governo fosse fatto dai politici.
Il sistema consumistico clientelare ha permesso loro il sinistro lusso di non
partecipare a nessuna procedura decisionale attiva, partecipativa.
Oggi sono stati scossi dal loro stato di passività. Sono improvvisamente
diventati poveri e hanno perso ogni fiducia nel sistema e stanno proponendo il
compito di regolazione e di governo ai gruppi estremi. Uno strato molto ampio
di questa classe ancora impregnato di una confortevole fede nella
rappresentazione politica e nello spettacolo, trova gli anarchici, gli
autonomi, i gauchisti, gli hooligan che si battono in strada con i poliziotti
le bottiglie Molotov e gli attacchi alle banche ai posti di polizia e alle
proprietà corporative accettabili, necessari e persino attraenti.
Si tratta in gran parte della stessa gente che è favorevole al fatto che
l’estrema destra e i neonazisti (prima quasi inesistenti e ora in grande
crescita col supporto dello Stato) s’incarichino di attaccare gli immigrati e i
rifugiati.
In altre parole, i greci non sono
diventati ribelli in nome della giustizia sociale. Hanno solo deciso,
nutriti da confusione mediatica e da una tossica inerzia, di cambiare il loro
contratto di lunga vita con il parlamento con un altro contratto (magari breve)
con i gruppi che esprimono una politica estremista, purché l’immagine di una
Grecia unita non sia distrutta.
La resistenza contro le banche e contro gli immigrati è il nuovo simbolo di
unità nazionale e lasciano felicemente fare da altri, anarchici o fascisti che
siano…
Dal lato opposto, la classe dominante e il governo, confrontati a una vera
tendenza radicale che interroga le autorità e il potere sia nelle strade sia
nelle strutture di autogestione della vita quotidiana (numerose assemblee
locali e centri sociali), sono ben contenti di promuovere questa nuova
equiparazione delle frange estreme e apprezza molto la retorica del “siamo
tutti greci”. Il partito populista di estrema destra LAOS che partecipa
all’attuale coalizione di governo, ha dichiarato il suo pieno appoggio alle
masse di dimostranti all’estero che solidarizzano con la patria greca.
Il piano della classe dominante e del governo è di presentare le due
estreme come parte di un’unità nazionale in modo da impedire una vera
radicalizzazione.
Un perfetto esempio di questa nuova tattica di equalizzazione delle estreme
è lo sciopero degli operai siderurgici ad Aspropyrgos, vicino ad Atene, uno
sciopero lunghissimo (dall’autunno) sostenuto materialmente e politicamente da
anarchici e autonomi di sinistra fin dall’inizio in tutto il paese. Non solo
gli scioperanti non si sono radicalizzati né si sono interessati assolutamente
alla giustizia sociale, ma si sono lasciati guidare e controllare dal partito
stalinista KKE , sindacato dei lavoratori PAME. I lavoratori in sciopero del
PAME non hanno esitato a ricevere solidarietà e aiuto dai neonazisti del Golden
Dawn. In un recente meeting videoregistrato, un militante del PAME ha
introdotto un nazista che ha rivolto ai lavoratori questa frase: “Tutta la
Grecia è dalla nostra parte”.
(Questo partito neonazista è responsabile, tra l’atro, dell’attacco e
dell’omicidio d’immigrati, mentre i sondaggi lo danno al 3% dei voti e in odore
di parlamento.)
Chiaramente, in un tale contesto, l’operaismo populista emergente nel
movimento radicale (anarchico e gauchista) non è certo d’aiuto. Contribuisce a
falsare il quadro odierno delle dinamiche sociali nel paese e può essere
facilmente usurpato e assorbito dalla nuova unità nazionale in crisi. Il che è
davvero ironico in un paese dove la maggior parte della forza produttiva e
riproduttiva è comunque immigrata…
2. svuotare i
concetti di “democrazia diretta” e “autogestione” di ogni contenuto
“Democrazia diretta” e “autogestione” sono davvero, storicamente, delle
belle idee pratiche dei movimenti sociali. Sono concetti molto largamente usati
oggi dimostrando così di ispirare davvero la gente e di essere basati su un
autentico impeto radicale. Abbiamo il timore che essi siano velocemente
usurpati e ridotti a vuoti slogan generatori di nuova passività e offerte di un
nuovo capitale culturale per i politici e per i loro spin doctors.
Un fatto molto caratteristico è la fondazione di un nuovo partito
politico (in vista delle prossime elezioni) da parte di un politico di estrema
destra fortemente contrario ai “banksters” FMI e OMC, autonominatosi “Greci
indipendenti”. Il suo motto è appunto “Democrazia diretta” e “autogestione”. Il
problema è che ciò suona così naturale che nessuno è stato colpito dall’uso di
queste idee nel programma di un partito di estrema destra…
In altre parole il proposito politico di creare un fronte nazionale (che
potrebbe facilmente pretendersi “diretto democraticamente” e “autogestito”) ha
l’obiettivo d’incanalare parti di una reale e spontanea reazione a quel che
accade di fronte a una tardiva mobilitazione di massa nazionale, simile alle
mobilitazioni promosse negli anni novanta dai nazionalisti e dalla Chiesa per
non permettere alla vicina repubblica jugoslava di adottare il nome di
Macedonia.
Molti dicono che « le masse non sono ancora scese in piazza ». tutti
sanno che presto la gente scenderà di nuovo in strada per protestare contro le
nuove estreme misure d’impoverimento e di totale smantellamento di ogni
servizio sociale. E se l’ampio malcontento sarà distorto e controllato da
argomenti nazionalistici l’agitazione sociale sarà recuperata come
“indignazione nazionale”.
Sì, in Grecia i
rivoltosi hanno bisogno di solidarietà.
Non tutti i greci,
però, sono in rivolta.
E i rivoltosi non sono
tutti greci!
Cara Lia,
Grazie a te e agli altri amici
per la traduzione della Lettera ai miei
figli. Resto evidentemente a vostra disposizione per ogni problema e
precisione eventuale. Nella misura della mia disponibilità, cercherò di
raggiungervi ad Atene per la fine di maggio.
Grazie anche di apportare al testo
firmato insieme da Yannis e da me qualche critica utile che invita a non meno
utili precisazioni. Mi piacerebbe che la mia piccola messa a punto fosse
comunicata agli amici.
Messa a punto.
C’è sempre un rischio d’ambiguità nel parlare di un paese
o di un popolo come se si trattasse di un’entità astratta dove gli individui,
ridotti a una rappresentazione psicogeografica, si trovano d’un tratto
spogliati della loro singolarità, di quello che la loro esistenza ha di unico e
d’irriducibile. Fuori di Grecia, la formula “Siamo tutti greci” risuona
talvolta come un allarme e una speranza.
Allarme in questo senso: il totalitarismo finanziario che
sconquassa la Grecia è all’opera anche nel resto del mondo e minaccia i paesi
ben portanti, intendo quelli più ammaliati dalle illusioni consumiste che
garantiscono la letargia meglio della forza degli eserciti.
Anche speranza, però, perché in un mondo che sta soffocando,
è dalla Grecia in effervescenza che ci arriva questo soffio d’aria fresca senza
il quale nessuno respira.
Se facciamo un appello alla solidarietà, è evidentemente in
direzione del movimento di rivolta e non nei confronti della nazione greca. È
in questo senso che il testo è stato accolto e tradotto. Detto questo, il caos,
la confusione, l’andare a tentoni e le vie incerte di una rivoluzione della
vita quotidiana - in totale rottura con quel che è stato finora chiamato
rivoluzione e che non è stato altro che un cambiamento d’oppressione - chiamano
a una vigilanza internazionale.
Stiamo attenti a non dimenticarlo : i Consigli - o
soviet - apparsi spontaneamente nella Russia del 1917 con la loro volontà di organizzarsi
in modo autonomo e di federare le collettività locali, sono stati rapidamente
svuotati del loro contenuto e recuperati dal partito leninista. Non stupiamoci
se la radicalità che anima oggi i movimenti d’emancipazione che tentano di
rompere il giogo dell’imperialismo finanziario fanno oggetto di una vasto
tentativo di recupero.
Il recupero nazionalista scommette sulla frustrazione e
la paura. Gioca sul registro delle emozioni per canalizzare la collera contro
dei capri espiatori. Il fascismo ha dimostrato in passato la sua maestria in
questo ambito in cui certi “nemici” sono contemporaneamente fantasmatici e
punibili: i migranti, gli stranieri, i disoccupati , le minoranze, gli “altri”,
mentre altri sono investiti di una potenza simbolica capace di eccitare l’odio
e il risentimento senza provocare il minimo pregiudizio al sistema. Ieri i
nazisti denunciavano la “plutocrazia” internazionale, sorta di officina
occulta, evidentemente dominata dalla “giudeità”, senza che i loro attacchi se
la prendessero mai con il grande capitale che era la loro spina dorsale. Esiste
oggi un recupero simile del risentimento. Quelli che incendiano banche e negozi
non fanno che sfogarsi senza minacciare minimamente il sistema mercantile,
causa delle loro frustrazioni. Si può persino dire che sono alleati del sistema
oppressivo nel senso che invece di creare dei territori affrancati
dall’imperialismo mercantile - dei luoghi di vita e di gratuità - s’istallano
in uno spettacolo di contestazione che fa parte di quella dialettica
dell’ordine e del caos da cui la repressione trae sempre profitto.
La demagogia dei “capetti” in cerca di potere scommette
sulla manipolazione emozionale delle folle. Non c’è miglior mezzo per soffocare
l’intelligenza sensibile e la coscienza delle libertà da conquistare. Tutto un
gauchismo che va dall’anarchismo arcaico dei “casseurs” di poliziotti e di
simboli mercantili agli ultimi residui stalinotroskisti e ai burocrati
sindacali, ha l’ambizione di sostituirsi ai parlamentari della democrazia
corrotta per salire di grado nello spettacolo della contestazione. Noi siamo
nella rappresentazione della collera
e della frustrazione, siamo in una messa in scena del caos da cui non usciranno
altro che nuovi poteri oppressivi.
Io penso come voi che bisogna uscire risolutamente da
questi confronti spettacolari dove la radicalità diventa la sua menzogna,
diventa un’ideologia, un radicalismo.
Trasgredire i divieti dell’oppressione non lascia soltanto intatto il sistema
oppressivo stesso, lo interiorizza, ne fa un gioco mortifero e vieta la messa
in atto collettiva di un progetto di vita. Ora il progetto di vita è il solo
gioco dove la passione di battersi ha tutte le ragioni d’investirsi.
Tuttavia, non basta intestardirsi nel criticare i
comportamenti che sono, coscientemente o no, al soldo della disumanità
dominante.
Diffido delle nozioni di tattica e di strategia che
derivano da una concezione militare incompatibile con l’umanità che noi
vogliamo opporre alla barbarie. Non è inutile , invece, che tali nozioni siano
superate dal loro deturnamento. Così, per rettificare una formula celebre direi
che l’attacco è la migliore difesa, non sul terreno del nemico ma laddove questi
non ci aspetta, sul terreno della vita che ignora assolutamente perché solo la
morte lo guida.
Praticamente ciò significa che bisogna incessantemente
partire dalla base e tornare alla radice, alla radicalità. Non agiamo per dare
lezioni ma per portare a conoscenza di tutti - al fine di suscitare una
solidarietà internazionale - quali esperienze di auto organizzazione si
abbozzano in Grecia o altrove, per quanto confusamente. Perché mostrare quali
nuove vie si aprano in un mondo ostile alla vita vuol dire spezzare quella disperazione
dei rassegnati che costituisce il miglior sostegno del regime oppressivo - e
per rassegnati intendo anche quelli che non vedono altra soluzione che morire
combattendo quel totalitarismo finanziario che trae proprio dalla distruzione
del vivente i suoi ultimi profitti.
Dare un’udienza internazionale ai progetti locali di una
nuova società vuol dire impedire il loro recupero e il loro annientamento da
parte del vecchio clientelismo politico e sindacale e dal nuovo clientelismo
gauchista che compete con loro. Sta a noi premunire l’esercizio della
democrazia diretta (e anche a questo proposito molte precisazioni s’impongono)
contro i suoi recuperi, come il ricorso al referendum in cui delle folle
manipolate e incretinite da tribuni di qualunque tendenza ricadono alla svelta
nei pregiudizi più ritriti del passato (immaginatevi il possibile risultato di
un referendum sulla pena di morte nell’Europa cosiddetta “illuminata”).
Il nostro interesse è contemporaneamente individuale e
collettivo. Non si rendono felici gli altri senza preoccuparsi al contempo
della propria felicità e non si fa la propria felicità senza lottare per la
felicità di tutti. Non mi sento militante, mi sento solidale con quanti
desiderano prendere in mano la propria sorte, decidere delle loro condizioni di
vita liberando il loro ambiente dal dominio della merce.
Non s’insisterà mai abbastanza sull’importanza della
gratuità, quest’arma assoluta contro la trasformazione dell’uomo in oggetto
mercantile. Come portare meglio dei colpi a un sistema in cui tutto si paga che
non pagando più?
Come evitare che il progetto di autogestione si rovini
prendendo la forma economica dell’antica Jugoslavia di Tito se non si mette
l’accento sull’autogestione generalizzata, cioè su un’autogestione individuale
e sociale che oltrepassi il settore della produzione e del consumo.
Riappropriarsi delle fabbriche e delle imprese è inseparabile dalla
riappropriazione della vita quotidiana. Essere radicali vuol dire prendere
l’uomo alla radice e la radice dell’uomo è la sua umanità. Questo è il senso
della mia lotta. Non mi si accuserà di presunzione se esprimo il sospetto che
questa lotta sia di un gran numero dei miei simili.
Raoul Vaneigem