venerdì 9 marzo 2012

DALLA GRECIA CON AMORE



 Avevo tradotto poco tempo fa il testo di un articolo di sostegno solidale con la resistenza greca al totalitarismo finanziario firmato su Libération da Yannis Youlountas e Raoul Vaneigem.
La mia lunga amicizia e stima per Raoul mi aveva spontaneamente indotto a evitare qualunque distinguo per ripercuotere immediatamente uno slancio di solidarietà con l’obiettivo per me evidente di sostenere una resistenza che si annuncia difficile e che ci riguarda tutti.
I segnali di un ospedale e di un giornale gestiti rispettivamente da medici, infermieri e giornalisti non garantivano certo di una radicalità diffusa in tutto il paese, ma era perlomeno il segno invitante che le idee di democrazia diretta e di autogestione generalizzata della vita quotidiana stavano aprendosi un minimo varco nella situazione greca. Diciamo, modestamente, che di là dalle solite infiltrazioni avanguardistiche autoritarie e recuperatrici andavano nel senso auspicabile.
Nessun facile ottimismo poteva certo far pensare al crescendo di una coscienza radicale diffusa, ma valeva la pena di farsi i relatori di qualche crepa nello schermo levigato della società dello spettacolo.
Non mi stupisce, però, che ora, chi vive sul posto la complessità della situazione, abbia sentito il bisogno di qualche distinguo necessario. Considero, anzi, un’ottima operazione dialettica che ciò abbia spinto Vaneigem ad aggiungere qualche precisazione e una rapida messa a punto.
Vi restituisco il tutto con la stessa passione radicale che applico meglio che posso ogni giorno alla mia vita quotidiana.

Sergio Ghirardi

Lettera dalla Grecia:


Caro Raoul,
grazie per il tuo libro che è davvero bello! La traduzione è già in corso ad Atene e sarà presto pronta. Ti rinnoviamo anche l’invito per Maggio se sarai disponibile.
Dopo aver letto il recente articolo su Liberation da te firmato a quattro mani in solidarietà alla Grecia, crediamo importante far seguire un nostro breve commento sul mutamento ideologico che sta avvenendo in Grecia su due punti in particolare:
1) si sta promuovendo un’ideologia degli “estremismi” per incanalare e controllare la vera radicalità.
2) i significati dei concetti di democrazia diretta e di autogestione sono usurpati e distorti.
Calorosi saluti e grazie di tutto, Lia e un gruppo di compagni greci

Grazie a dio non siamo tutti greci !
1. Un nuovo contratto sociale con gli “estremismi”. 
Una larga parte della popolazione in Grecia, un’ampia classe media ha scelto per anni di accettare che il lavoro di governo fosse fatto dai politici. Il sistema consumistico clientelare ha permesso loro il sinistro lusso di non partecipare a nessuna procedura decisionale attiva, partecipativa.
Oggi sono stati scossi dal loro stato di passività. Sono improvvisamente diventati poveri e hanno perso ogni fiducia nel sistema e stanno proponendo il compito di regolazione e di governo ai gruppi estremi. Uno strato molto ampio di questa classe ancora impregnato di una confortevole fede nella rappresentazione politica e nello spettacolo, trova gli anarchici, gli autonomi, i gauchisti, gli hooligan che si battono in strada con i poliziotti le bottiglie Molotov e gli attacchi alle banche ai posti di polizia e alle proprietà corporative accettabili, necessari e persino attraenti. 
Si tratta in gran parte della stessa gente che è favorevole al fatto che l’estrema destra e i neonazisti (prima quasi inesistenti e ora in grande crescita col supporto dello Stato) s’incarichino di attaccare gli immigrati e i rifugiati. 
In altre parole, i greci non sono diventati ribelli in nome della giustizia sociale. Hanno solo deciso, nutriti da confusione mediatica e da una tossica inerzia, di cambiare il loro contratto di lunga vita con il parlamento con un altro contratto (magari breve) con i gruppi che esprimono una politica estremista, purché l’immagine di una Grecia unita non sia distrutta.
La resistenza contro le banche e contro gli immigrati è il nuovo simbolo di unità nazionale e lasciano felicemente fare da altri, anarchici o fascisti che siano… 
Dal lato opposto, la classe dominante e il governo, confrontati a una vera tendenza radicale che interroga le autorità e il potere sia nelle strade sia nelle strutture di autogestione della vita quotidiana (numerose assemblee locali e centri sociali), sono ben contenti di promuovere questa nuova equiparazione delle frange estreme e apprezza molto la retorica del “siamo tutti greci”. Il partito populista di estrema destra LAOS che partecipa all’attuale coalizione di governo, ha dichiarato il suo pieno appoggio alle masse di dimostranti all’estero che solidarizzano con la patria greca.
Il piano della classe dominante e del governo è di presentare le due estreme come parte di un’unità nazionale in modo da impedire una vera radicalizzazione. 
Un perfetto esempio di questa nuova tattica di equalizzazione delle estreme è lo sciopero degli operai siderurgici ad Aspropyrgos, vicino ad Atene, uno sciopero lunghissimo (dall’autunno) sostenuto materialmente e politicamente da anarchici e autonomi di sinistra fin dall’inizio in tutto il paese. Non solo gli scioperanti non si sono radicalizzati né si sono interessati assolutamente alla giustizia sociale, ma si sono lasciati guidare e controllare dal partito stalinista KKE , sindacato dei lavoratori PAME. I lavoratori in sciopero del PAME non hanno esitato a ricevere solidarietà e aiuto dai neonazisti del Golden Dawn. In un recente meeting videoregistrato, un militante del PAME ha introdotto un nazista che ha rivolto ai lavoratori questa frase: “Tutta la Grecia è dalla nostra parte”.
(Questo partito neonazista è responsabile, tra l’atro, dell’attacco e dell’omicidio d’immigrati, mentre i sondaggi lo danno al 3% dei voti e in odore di parlamento.)
Chiaramente, in un tale contesto, l’operaismo populista emergente nel movimento radicale (anarchico e gauchista) non è certo d’aiuto. Contribuisce a falsare il quadro odierno delle dinamiche sociali nel paese e può essere facilmente usurpato e assorbito dalla nuova unità nazionale in crisi. Il che è davvero ironico in un paese dove la maggior parte della forza produttiva e riproduttiva è comunque immigrata…
2. svuotare i concetti di “democrazia diretta” e “autogestione” di ogni contenuto
“Democrazia diretta” e “autogestione” sono davvero, storicamente, delle belle idee pratiche dei movimenti sociali. Sono concetti molto largamente usati oggi dimostrando così di ispirare davvero la gente e di essere basati su un autentico impeto radicale. Abbiamo il timore che essi siano velocemente usurpati e ridotti a vuoti slogan generatori di nuova passività e offerte di un nuovo capitale culturale per i politici e per i loro spin doctors.
 Un fatto molto caratteristico è la fondazione di un nuovo partito politico (in vista delle prossime elezioni) da parte di un politico di estrema destra fortemente contrario ai “banksters” FMI e OMC, autonominatosi “Greci indipendenti”. Il suo motto è appunto “Democrazia diretta” e “autogestione”. Il problema è che ciò suona così naturale che nessuno è stato colpito dall’uso di queste idee nel programma di un partito di estrema destra…
In altre parole il proposito politico di creare un fronte nazionale (che potrebbe facilmente pretendersi “diretto democraticamente” e “autogestito”) ha l’obiettivo d’incanalare parti di una reale e spontanea reazione a quel che accade di fronte a una tardiva mobilitazione di massa nazionale, simile alle mobilitazioni promosse negli anni novanta dai nazionalisti e dalla Chiesa per non permettere alla vicina repubblica jugoslava di adottare il nome di Macedonia.
Molti dicono che « le masse non sono ancora scese in piazza ». tutti sanno che presto la gente scenderà di nuovo in strada per protestare contro le nuove estreme misure d’impoverimento e di totale smantellamento di ogni servizio sociale. E se l’ampio malcontento sarà distorto e controllato da argomenti nazionalistici l’agitazione sociale sarà recuperata come “indignazione nazionale”.
Sì, in Grecia i rivoltosi hanno bisogno di solidarietà.
Non tutti i greci, però, sono in rivolta.
E i rivoltosi non sono tutti greci!
 


Cara Lia,
Grazie a te e agli altri amici per la traduzione della Lettera ai miei figli. Resto evidentemente a vostra disposizione per ogni problema e precisione eventuale. Nella misura della mia disponibilità, cercherò di raggiungervi ad Atene per la fine di maggio.
Grazie anche di apportare al testo firmato insieme da Yannis e da me qualche critica utile che invita a non meno utili precisazioni. Mi piacerebbe che la mia piccola messa a punto fosse comunicata agli amici.

Messa a punto.

C’è sempre un rischio d’ambiguità nel parlare di un paese o di un popolo come se si trattasse di un’entità astratta dove gli individui, ridotti a una rappresentazione psicogeografica, si trovano d’un tratto spogliati della loro singolarità, di quello che la loro esistenza ha di unico e d’irriducibile. Fuori di Grecia, la formula “Siamo tutti greci” risuona talvolta come un allarme e una speranza.
Allarme in questo senso: il totalitarismo finanziario che sconquassa la Grecia è all’opera anche nel resto del mondo e minaccia i paesi ben portanti, intendo quelli più ammaliati dalle illusioni consumiste che garantiscono la letargia meglio della forza degli eserciti.
Anche speranza, però, perché in un mondo che sta soffocando, è dalla Grecia in effervescenza che ci arriva questo soffio d’aria fresca senza il quale nessuno respira.
Se facciamo un appello alla solidarietà, è evidentemente in direzione del movimento di rivolta e non nei confronti della nazione greca. È in questo senso che il testo è stato accolto e tradotto. Detto questo, il caos, la confusione, l’andare a tentoni e le vie incerte di una rivoluzione della vita quotidiana - in totale rottura con quel che è stato finora chiamato rivoluzione e che non è stato altro che un cambiamento d’oppressione - chiamano a una vigilanza internazionale.

Stiamo attenti a non dimenticarlo : i Consigli - o soviet - apparsi spontaneamente nella Russia del 1917 con la loro volontà di organizzarsi in modo autonomo e di federare le collettività locali, sono stati rapidamente svuotati del loro contenuto e recuperati dal partito leninista. Non stupiamoci se la radicalità che anima oggi i movimenti d’emancipazione che tentano di rompere il giogo dell’imperialismo finanziario fanno oggetto di una vasto tentativo di recupero.
Il recupero nazionalista scommette sulla frustrazione e la paura. Gioca sul registro delle emozioni per canalizzare la collera contro dei capri espiatori. Il fascismo ha dimostrato in passato la sua maestria in questo ambito in cui certi “nemici” sono contemporaneamente fantasmatici e punibili: i migranti, gli stranieri, i disoccupati , le minoranze, gli “altri”, mentre altri sono investiti di una potenza simbolica capace di eccitare l’odio e il risentimento senza provocare il minimo pregiudizio al sistema. Ieri i nazisti denunciavano la “plutocrazia” internazionale, sorta di officina occulta, evidentemente dominata dalla “giudeità”, senza che i loro attacchi se la prendessero mai con il grande capitale che era la loro spina dorsale. Esiste oggi un recupero simile del risentimento. Quelli che incendiano banche e negozi non fanno che sfogarsi senza minacciare minimamente il sistema mercantile, causa delle loro frustrazioni. Si può persino dire che sono alleati del sistema oppressivo nel senso che invece di creare dei territori affrancati dall’imperialismo mercantile - dei luoghi di vita e di gratuità - s’istallano in uno spettacolo di contestazione che fa parte di quella dialettica dell’ordine e del caos da cui la repressione trae sempre profitto.
La demagogia dei “capetti” in cerca di potere scommette sulla manipolazione emozionale delle folle. Non c’è miglior mezzo per soffocare l’intelligenza sensibile e la coscienza delle libertà da conquistare. Tutto un gauchismo che va dall’anarchismo arcaico dei “casseurs” di poliziotti e di simboli mercantili agli ultimi residui stalinotroskisti e ai burocrati sindacali, ha l’ambizione di sostituirsi ai parlamentari della democrazia corrotta per salire di grado nello spettacolo della contestazione. Noi siamo nella rappresentazione della collera e della frustrazione, siamo in una messa in scena del caos da cui non usciranno altro che nuovi poteri oppressivi.
Io penso come voi che bisogna uscire risolutamente da questi confronti spettacolari dove la radicalità diventa la sua menzogna, diventa un’ideologia, un radicalismo. Trasgredire i divieti dell’oppressione non lascia soltanto intatto il sistema oppressivo stesso, lo interiorizza, ne fa un gioco mortifero e vieta la messa in atto collettiva di un progetto di vita. Ora il progetto di vita è il solo gioco dove la passione di battersi ha tutte le ragioni d’investirsi.
Tuttavia, non basta intestardirsi nel criticare i comportamenti che sono, coscientemente o no, al soldo della disumanità dominante.
Diffido delle nozioni di tattica e di strategia che derivano da una concezione militare incompatibile con l’umanità che noi vogliamo opporre alla barbarie. Non è inutile , invece, che tali nozioni siano superate dal loro deturnamento. Così, per rettificare una formula celebre direi che l’attacco è la migliore difesa, non sul terreno del nemico ma laddove questi non ci aspetta, sul terreno della vita che ignora assolutamente perché solo la morte lo guida.
Praticamente ciò significa che bisogna incessantemente partire dalla base e tornare alla radice, alla radicalità. Non agiamo per dare lezioni ma per portare a conoscenza di tutti - al fine di suscitare una solidarietà internazionale - quali esperienze di auto organizzazione si abbozzano in Grecia o altrove, per quanto confusamente. Perché mostrare quali nuove vie si aprano in un mondo ostile alla vita vuol dire spezzare quella disperazione dei rassegnati che costituisce il miglior sostegno del regime oppressivo - e per rassegnati intendo anche quelli che non vedono altra soluzione che morire combattendo quel totalitarismo finanziario che trae proprio dalla distruzione del vivente i suoi ultimi profitti.
Dare un’udienza internazionale ai progetti locali di una nuova società vuol dire impedire il loro recupero e il loro annientamento da parte del vecchio clientelismo politico e sindacale e dal nuovo clientelismo gauchista che compete con loro. Sta a noi premunire l’esercizio della democrazia diretta (e anche a questo proposito molte precisazioni s’impongono) contro i suoi recuperi, come il ricorso al referendum in cui delle folle manipolate e incretinite da tribuni di qualunque tendenza ricadono alla svelta nei pregiudizi più ritriti del passato (immaginatevi il possibile risultato di un referendum sulla pena di morte nell’Europa cosiddetta “illuminata”).
Il nostro interesse è contemporaneamente individuale e collettivo. Non si rendono felici gli altri senza preoccuparsi al contempo della propria felicità e non si fa la propria felicità senza lottare per la felicità di tutti. Non mi sento militante, mi sento solidale con quanti desiderano prendere in mano la propria sorte, decidere delle loro condizioni di vita liberando il loro ambiente dal dominio della merce.



Non s’insisterà mai abbastanza sull’importanza della gratuità, quest’arma assoluta contro la trasformazione dell’uomo in oggetto mercantile. Come portare meglio dei colpi a un sistema in cui tutto si paga che non pagando più?
Come evitare che il progetto di autogestione si rovini prendendo la forma economica dell’antica Jugoslavia di Tito se non si mette l’accento sull’autogestione generalizzata, cioè su un’autogestione individuale e sociale che oltrepassi il settore della produzione e del consumo. Riappropriarsi delle fabbriche e delle imprese è inseparabile dalla riappropriazione della vita quotidiana. Essere radicali vuol dire prendere l’uomo alla radice e la radice dell’uomo è la sua umanità. Questo è il senso della mia lotta. Non mi si accuserà di presunzione se esprimo il sospetto che questa lotta sia di un gran numero dei miei simili.

Raoul Vaneigem