A Parigi se abiti in centro sei di sinistra
Dimmi dove abiti e ti dirò come voti. È la tesi dimostrata da un
grafico in prima pagina oggi sul quotidiano francese Le monde. La
distanza dal centro, nei comuni con oltre 200mila abitanti, corrisponde a un
innalzamento di voti favorevoli alla destra: lo rivela l’Ifop, multinazionale
dei sondaggi, che ha interrogato
8.052 elettori in vista delle presidenziali che sceglieranno il prossimo
inquilino dell’Eliseo. Nei quartieri centrali di Parigi il candidato socialista
François Hollande prevale sull’attuale presidente Nicolas
Sarkozy e su Marine Le Pen, leader del Front National
con oltre il 30 per cento di dichiarazioni di preferenza a suo favore. Ma via
via che ci si allontana dai boulevard sulla Senna lo scarto a vantaggio dell’ex
di Ségolène Royale diminuisce fino a precipitare a sei punti in meno della sua
media nazionale.
Fra i quaranta e i cinquanta chilometri di lontananza dal
centro è invece il partito di destra Fn a raggiungere il picco di consensi
arrivando al 26 per cento e superando entrambi i candidati concorrenti. Gli
abitanti delle grandi cinture periferiche – da 30 a 70 chilometri dal
centro città – sono anche i più restii a concedere il voto agli immigrati,
mentre sarebbero favorevoli a ristabilire la pena di morte e dichiarano di
vivere in una situazione d’insicurezza.
Gli strateghi delle campagne elettorali per il prossimo 22 aprile
dovranno quindi considerare un fattore in più nel marketing del
prodotto/candidato: sulla scelta di voto oltre all’età, al sesso, alla
professione, pesa anche il fattore geografico. La frustrazione
e il senso d’isolamento degli abitanti dei quartieri satelliti, spesso
costretti a questa scelta dai prezzi troppo elevati degli immobili nelle zone
centrali, si ripercuote sui loro orientamenti politici. La vittoria nella corsa
all’Eliseo potrebbe dipendere dalla folla silenziosa delle periferie:
il 28 per cento degli elettori abita in questo limbo semiurbano.
Commento di Sergio Ghirardi:
I turisti, anche se giornalisti, divrebbero limitarsi a
mostrare le fotografie oltre che cercare di non farsi trattare dappertutto
altrettanto male che a casa loro. Ricavare da un articolo di Le Monde la
geografia elettorale della Francia mi sembra come voler capire se pioverà
guardando una sfera di cristallo che se la agiti fa scendere la neve.
Parigi è stata svuotata da decenni dal suo popolo assai
poco incline a farsi mancare di rispetto. I faubourgs sono stati riempiti di
centri commerciali e di un consumismo affarista che ha invaso tutto il pianeta
come una lebbra. Con l'allontanamento dal centro del mercato delle Halle, cuore
della vita parigina, sostituito dall'omonimo centro commerciale, con la
costruzione limitrofa di quello che J. Camatte definì il cancro del futuro
(Centro Pompidou) e lo sventramento di interi quartieri della Parigi rossa
(come veniva chiamata tutta la zona est della banlieu e degli arrondissements
cittadini) si è ridotta la città in cui si andava fieri di vivere in un'anonima
capitale della società dello spettacolo.
Eppure -c'ero ancora l'altro ieri - Paris resta la Paname cantata da Leo Ferré
e, come la foresta ammazzonica davanti alle autostrade invasive subito sommerse
dalla vegetazione, riprende i suoi diritti. Il suo popolo riemerge dai Mc
Donald e dai kebab per turisti della vita quotidiana.
Pantin, Oberkampf, Lilas, Montreuil sono tra i luoghi in
cui una nuova popolazione - e non solo bobos
- fa obiezione di crescita, si batte contro il nucleare, si apre all'ipotesi di
una democrazia diretta che comincia a far sentire il fiato sul collo dei
conformisti addomesticati di destra e di sinistra.
Non è detto che questi nuovi proletari anonimi si
pieghino volentieri alla presa in giro parlamentarista delle elections piège à cons, ma certo non
vogliono favorire il fascismo che rode.
Oltre chi vota a destra o a sinistra in una mescolanza da
supermercato della politica, comunque, sta nascendo a Parigi come nelle
campagne di tutta una Francia ormai abitatata da un numero crescente di gruppi
autocostruttori e disobbedienti, pacifici e determinati a cambiare vita, un
nuovo popolo planetario che potrà inventarsi, qui e altrove, nella gioia e
nella convivialità, un nuovo sistema sociale come antidoto alla barbarie di
Stato e di Mercato. Un'altra Europa è possibile, non in preda al totalitarismo
finanziario che sta smantellando il tessuto stesso dei rapporti umani, che potrebbe
poeticamente ricordare la
Comune di Parigi ma solo nella gioia di vivere una democrazia
diretta, senza la guerra e la fame se non si aspetta come dei turisti lo
tzunami della catastrofe che avanza.