lunedì 5 marzo 2012

Storia di Mika, la “capitana” della Revolution




 
Nel libro "La miliziana", edito da Guanda, la scrittrice argentina Elsa Osorio ricostruisce la figura di Micaela Etchebéhère, unica donna che durante la guerra civile spagnola comandò una milizia antifranchista. Una biografia romanzata. Anzi, un dialogo a distanza fra autrice e protagonista a cavallo tra immaginazione e storia

La copertina de "La miliziana" (edizioni Guanda)
Che storia, quella di Mika. E l’abbiamo ignorata per 70 anni. Ci voleva una donna determinata comela scrittrice argentina Elsa Osorio per raccontarcela in un libro prezioso: Mika era il soprannome di Micaela Etchebéhère, ebrea argentina di origini russe con due passioni nel cuore: suo marito Hipòlito e la rivoluzione. Fu l’unica donna che durante la guerra civile spagnola comandò una milizia antifranchista: una “capitana” – così la chiamavano – che sapeva unire al coraggio del soldato la capacità di cura della donna, distribuendo con la stessa dedizione armi e cucchiai di sciroppo, portando all’assalto i suoi soldati e allestendo per loro cucine da campo.
Elsa Osorio, autrice fra gli altri del bel romanzo “I ventanni di LUZ”, sul dramma dei figli dei desaparecidos argentini, ha inseguito per venticinque anni la storia di Mika, della quale aveva sentito parlare a “Sur”, la storica rivista letteraria argentina, dallo scrittore Juan José Hernandéz. “Non ero la sola, allora, a ignorare l’esistenza di un personaggio così unico e importante, e oggi quasi niente è cambiato: sia in Argentina sia in Spagna quasi nessuno sa chi sia stata”.
Una lacuna ora colmata da quella che non si può definire una biografia romanzata, piuttosto un dialogo a distanza fra le due donne, l’autrice e la protagonista, reso possibile dalla consultazione di manoscritti, lettere, testimonianze. E dalla fantasia di Osorio, la cui immaginazione, come scrive nella postfazione, “ha ingaggiato un arduo duello per imporsi sulle soffocanti esigenze della storia”, nella consapevolezza che “senza immaginazione non c’è memoria possibile”.
Ecco allora la storia d’amore di Mika con Hipòlito, come lei ebreo argentino, conosciuto nel 1920 a Buenos Aires, a una riunione della rivista “Insurrexit”. È lui che, a soli 19 anni (lei ne aveva 17) le spiega che “la rivoluzione è ovunque ci sia una miccia pronta, da accendere”.
E la inseguiranno, la rivoluzione, ovunque intravederanno quella miccia. A costo di cocenti delusioni, come quando andranno a Berlino, nel 1932, convinti di entrare nel laboratorio nel socialismo europeo e assisteranno invece all’ascesa del nazismo, testimoni dell’incendio del Reichstag e delle violenze delle camice brune.
A Berlino Mika conosce anche l’altra faccia dell’oppressione, quella del comunismo sovietico: ha il volto di Jan Well, come si faceva chiamare in Germania, agente del Pcus invaghito di Mika e da lei respinto con rabbia. Lo stesso uomo che ritroverà in Spagna cinque anni dopo, durante la guerra civile. Questa volta si chiama Andrei Kozlov ed è il consigliere sovietico dei miliziani, ma il suo vero compito è stroncare le formazioni politiche non ortodosse, come il Poum, il Partito operaio di unificazione marxista nel quale milita Mika. La “capitana” è già l’eroina che ha guidato la fuga rocambolesca della sua milizia dalla cattedrale assediata di Siguenza, ricongiungendola al resto della truppa, e che ha resistito con i suoi uomini settimane in trincea alle porte di Madrid, nel fango e fra i proiettili dei falangisti. Ma per Well-Kozlov è l’eterna ossessione. E un nemico politico. Non l’ha mai dimenticata, e poiché non può averla, la perseguita, la incarcera, tenta di violentarla. Non ci riuscirà, ma l’avventura di Mika in Spagna finisce lì.
Avrebbe preferito morire combattendo, Mika, raggiungere il suo amato Hipòlito, caduto in battaglia nel luglio del 1936. Invece vivrà a lungo fra l’Argentina e Parigi, dove morirà ultranovantenne.
Fedele al monito di Hipòlito, non cesserà di rincorrere la miccia della rivoluzione. Lo farà anche a Parigi, nel 1968, scendendo in piazza accanto ai ragazzi del maggio. A modo suo, con eleganza e consumata esperienza: alla ragazza che raccoglie sanpietrini a mani nude per scagliarli contro la polizia, insegna a indossare i guanti, prima di staccarli dal terreno: in caso di fermo, non avrà colpevoli unghie sporche di terra ma mani immacolate di brava ragazza. Come quelle di Mika quando imbracciava il fucile e comandava i suoi miliziani.

Commento di Sergio Ghirardi:

Mika è l'esempio commovente di una donna pacifica quanto combattiva per un'umanità degna di questo nome. Il femminile può correggere naturalmente la rabbia invasata del maschio sempre abituato a essere dominante nel vecchio mondo come nel simulacro della rivoluzione.
Tutto resta possibile per l'umanità dell'uomo se si capisce che il peggior nemico della trasformazione sociale è la tendenza psicotica della volontà di potenza a combattere l'alienazione con le stesse armi alienate che creano il potere.
Nè guerrieri ne martiri! Così i guanti bianchi di Mika possono indicare contemporaneamente l'uso del principio di precauzione e il segno di una sincera gentilezza.
Per cambiare questo mondo di bruti redditizi, impotenti a godere della vita, ci vuole altrettanta determinazione che poesia. Ce n'est qu'un début...