Nel libro "La miliziana", edito da
Guanda, la scrittrice argentina Elsa Osorio ricostruisce la figura di Micaela
Etchebéhère, unica donna che durante la guerra civile spagnola comandò una
milizia antifranchista. Una biografia romanzata. Anzi, un dialogo a distanza
fra autrice e protagonista a cavallo tra immaginazione e storia
Che storia, quella di Mika. E l’abbiamo ignorata per 70
anni. Ci voleva una donna determinata comela scrittrice argentina Elsa Osorio
per raccontarcela in un libro prezioso: Mika era il soprannome di Micaela
Etchebéhère, ebrea argentina di origini russe con due passioni nel
cuore: suo marito Hipòlito e la rivoluzione.
Fu l’unica donna che durante la guerra civile spagnola comandò una milizia antifranchista:
una “capitana” – così la chiamavano – che sapeva unire al coraggio del soldato
la capacità di cura della donna, distribuendo con la stessa dedizione armi e
cucchiai di sciroppo, portando all’assalto i suoi soldati e allestendo per loro
cucine da campo.
Elsa Osorio, autrice fra gli altri del bel romanzo “I ventanni di LUZ”, sul
dramma dei figli dei desaparecidos argentini, ha inseguito per
venticinque anni la storia di Mika, della quale aveva sentito parlare a “Sur”,
la storica rivista letteraria argentina, dallo scrittore Juan José
Hernandéz. “Non ero la sola, allora, a ignorare l’esistenza di un
personaggio così unico e importante, e oggi quasi niente è cambiato: sia in
Argentina sia in Spagna quasi nessuno sa chi sia stata”.
Una lacuna ora colmata da quella che non si può definire una biografia
romanzata, piuttosto un dialogo a distanza fra le due donne, l’autrice
e la protagonista, reso possibile dalla consultazione di manoscritti, lettere,
testimonianze. E dalla fantasia di Osorio, la cui immaginazione, come scrive
nella postfazione, “ha ingaggiato un arduo duello per imporsi sulle soffocanti
esigenze della storia”, nella consapevolezza che “senza immaginazione non c’è
memoria possibile”.
Ecco allora la storia d’amore di Mika con Hipòlito, come lei ebreo
argentino, conosciuto nel 1920
a Buenos Aires, a una riunione della rivista “Insurrexit”.
È lui che, a soli 19 anni (lei ne aveva 17) le spiega che “la rivoluzione è
ovunque ci sia una miccia pronta, da accendere”.
E la inseguiranno, la rivoluzione, ovunque intravederanno quella miccia. A
costo di cocenti delusioni, come quando andranno a Berlino, nel 1932, convinti
di entrare nel laboratorio nel socialismo europeo e assisteranno invece
all’ascesa del nazismo, testimoni dell’incendio del Reichstag e delle violenze
delle camice brune.
A Berlino Mika conosce anche l’altra faccia
dell’oppressione, quella del comunismo sovietico: ha il volto
di Jan Well, come si faceva chiamare in Germania, agente del Pcus
invaghito di Mika e da lei respinto con rabbia. Lo stesso uomo che ritroverà in
Spagna cinque anni dopo, durante la guerra civile. Questa volta si chiama Andrei
Kozlov ed è il consigliere sovietico dei miliziani, ma il suo vero
compito è stroncare le formazioni politiche non ortodosse, come il Poum,
il Partito operaio di unificazione marxista nel quale milita Mika. La
“capitana” è già l’eroina che ha guidato la fuga rocambolesca della sua milizia
dalla cattedrale assediata di Siguenza, ricongiungendola al resto della truppa,
e che ha resistito con i suoi uomini settimane in trincea alle porte di Madrid,
nel fango e fra i proiettili dei falangisti. Ma per Well-Kozlov è l’eterna
ossessione. E un nemico politico. Non l’ha mai dimenticata, e poiché non può
averla, la perseguita, la incarcera, tenta di violentarla. Non ci riuscirà, ma
l’avventura di Mika in Spagna finisce lì.
Avrebbe preferito morire combattendo, Mika, raggiungere il suo amato
Hipòlito, caduto in battaglia nel luglio del 1936. Invece vivrà a lungo fra l’Argentina
e Parigi, dove morirà ultranovantenne.
Fedele al monito di Hipòlito, non cesserà di rincorrere la miccia della
rivoluzione. Lo farà anche a Parigi, nel 1968, scendendo in piazza accanto ai ragazzi
del maggio. A modo suo, con eleganza e consumata esperienza: alla
ragazza che raccoglie sanpietrini a mani nude per scagliarli contro la polizia,
insegna a indossare i guanti, prima di staccarli dal terreno: in caso di fermo,
non avrà colpevoli unghie sporche di terra ma mani immacolate di brava ragazza.
Come quelle di Mika quando imbracciava il fucile e comandava i suoi miliziani.
Commento di Sergio Ghirardi:
Mika è l'esempio commovente di una donna pacifica quanto combattiva per
un'umanità degna di questo nome. Il femminile può correggere naturalmente la
rabbia invasata del maschio sempre abituato a essere dominante nel vecchio
mondo come nel simulacro della rivoluzione.
Tutto resta possibile per l'umanità dell'uomo se si capisce che il peggior
nemico della trasformazione sociale è la tendenza psicotica della volontà di
potenza a combattere l'alienazione con le stesse armi alienate che creano il
potere.
Nè guerrieri ne martiri! Così i guanti bianchi di Mika possono indicare
contemporaneamente l'uso del principio di precauzione e il segno di una sincera
gentilezza.
Per cambiare questo mondo di bruti redditizi, impotenti a godere della
vita, ci vuole altrettanta determinazione che poesia. Ce n'est qu'un début...