venerdì 2 marzo 2012

NO TAV, NO PARTY (democratico)



Quando, l’estate scorsa, riflettendo sul nodo cruciale della Val di Susa, ho messo in circolazione sul blog Barraventopensiero.blogspot.com l’articolo «Val di Susa e Little Big Horn» non immaginavo che i fatti mi avrebbero, purtroppo, a tal punto dato ragione. Quella che voleva essere una metafora di riferimento si dimostra oggi come una triste e tragica realtà.
Chi avesse la curiosità di leggere quel che ho scritto nel giugno scorso, capirebbe subito che sono vicino, solidale e partecipe della resistenza dei valsusini e di quanti li appoggiano nella disperata difesa del loro territorio vitale. Non ripeterò dunque le sacrosante motivazioni dei NOTAV alle quali nessun specialista e/o nessun politico ha mai risposto nel merito. Chiunque può soppesarle, confrontandole con le fumose tesi opposte dai favorevoli alla cosiddetta alta velocità.
Lo spettacolo dà in pasto ai suoi consumatori gli accadimenti con precisione maniacale, cita frasi dette e ripete slogan senza mai smettere di gargarizzarsi di democrazia quasi fosse un vaccino magico contro tutti i conflitti, ma proprio questo suo essere vigliaccamente embedded senza discussioni non offre spazio per farsi una ragione non ideologica.
Scegli il tuo party, cittadino sovrano: stai con i violenti, anarchici, improduttivi, insurrezionalisti che vogliono mettere a ferro e fuoco il paese oppure con le istituzioni che lavorano alacremente e sobriamente per il bene di tutti e con le forze dell’ordine che difendono la democrazia in pericolo dall’assalto dei barbari incivili?
Leggo ancora oggi - Cancellieri docet - che l’opera non è più discutibile. Ma quando mai è stata davvero discussa? Sento che l’habitué dei ruoli istituzionali dal salario conseguente, Fassino, si preoccupa che i valsusini rifiutino anche la versione light (secondo il suo illuminato parere) del cantiere. Certo il burocrate filiforme che lo abita non è molto abituato alla passione politica gratuita e alla coerenza delle idee; ha sempre fatto i compiti che gli si chiedevano per garantirsi l’impiego. È scivolato da una poltrona all’altra di qualunque partito di sinistra che gli garantisse di non doversi mai alzare e lavorare per un salario da proletario.
L’excomunismo di Fassino assomiglia a una carriera senza amore. La sua internazionale è quella delle banche, che le abbia o no. E lo stesso vale per Bersani che deve arrendersi al fatto che le Brigate Rosse sono state e sarebbero ancora la faccia arcaica speculare dei suo burocratismo da sacrestia o da comunione e liberazione.
In val di Susa degli individui senza curriculum vitae, contadini, poeti, impiegati o marginali che siano, difendono con i loro fragili corpi un rapporto vitale con la natura e con un modo di vivere che nessun burocrate e nessuno Stato ha il diritto di calpestare.

il capo della tribù Kayapo che piange poiché ha ricevuto la notizia della costruzione di una diga con la conseguente condanna a morte tutte le persone che vivono vicino al fiume perché... la diga sommergerà 400.000 ettari di foresta

Così per i tifosi il discorso è chiuso, ma io vorrei invece provare a ricostruire un minimo i meccanismi demagogici del potere e le contraddizioni di chi gli resiste perché, in conclusione, oltre le manipolazioni e i distinguo interessati, la realtà storica finisce sempre per venire alla luce.
Il tempo è galantuomo o gentildonna ma alla fine i mostri vengono archiviati dalla storia come tali e gli umani ricevono l’attestato della loro umanità calpestata.
Certo, può essere una magra consolazione perché c’è spesso il tempo per gli opportunisti al servizio di un proletariato da segreteria di partito democratico, di continuare il proprio piano di carriera, sempre più socialdemocratico e sempre meno comunista col variare metereologico delle ideologie di riferimento, e morire con un conto in banca ben fornito.
Dall’altro lato del parlamentarismo invece, le destre non si imbarazzano neppure un po’con queste quisquilie ideologiche. Si battono direttamente come straccioni per denaro e sesso mercantile come simboli concreti di un potere che sta accompagnando gli esseri umani nella spazzatura della storia. Questi predatori hanno il dubbio merito di essere visibilmente cinici e senza scrupoli e lanciano sul mercato delle opinioni dei figurini politici e giornalistici il cui olezzo non lascia dubbi al loro passaggio. Dai capi ai galoppini c’è solo l’imbarazzo della scelta: dai Berluschini ai Bossoli, dalla Santainché agli Sgorbi, dai Feltrini ai Beipietro sulla cui pietra tombale è stato affondato il giornalismo.
Talvolta, però, la storia arriva imprevista all’appuntamento e allora per criminali e burocrati sono tempi duri. Mi prendo dunque il piacere di scommettere su questo rendez-vous troppo spesso mancato ma qualche volta goduto.
Allora saranno semplicemente gli esseri umani ad opporsi alla disumanità del potere.
Ma prendiamo le distanze e torniamo al passato. Trovatemi, dunque, un solo individuo anche solo moderatamente sensibile che non risenta oggi come un oltraggio quel che la nostra civiltà bianca, produttivistica e abbondantemente cristiana ha fatto subire, per esempio, alle popolazioni indigene del Nord America, tanto per restare in tema con il Little Big Horn.
Certo, il partito trasversale del sadismo continuerà a blaterare di superiorità della civiltà, di esportazione di democrazia e altre scempiaggini per rassicurare l’impotenza diffusa dei suoi adepti a godere della vita, ma neppure Hollywood ha potuto resistire al fascino di vendere la verità tanto a lungo nascosta: gli indiani furono le vittime e i civilizzatori gli stupratori democratici della loro resistenza, della loro ribellione.
Ormai si sa che i più feroci cacciatori di scalpi erano bianchi, che nelle aule della Diaz c’erano molotov di Stato, pardon, che nei doni del grande padre bianco c’erano coperte al vaiolo e che il primitivismo bellicoso degli indigeni - si potrebbe dire il loro disperato insurrezionalismo, non so se anarchico - era meno barbaro delle becere abitudini dei loro civilizzatori. Insomma che chi ha il potere racconta sistematicamente un sacco di balle per schiacciare i dominati e impedire loro di rialzare la testa.
La Val di Susa, comunque vada a finire, è un piccolo Chiapas oltre che Wounded Knee e non potrà essere isolata per sempre. I dominanti riprodurranno, del resto, a ripetizione la stessa situazione per i loro loschi affari di banche e di multinazionali, in tutti i luoghi e con tutte le tribù. La Grecia è solo l’inizio, perché ovunque il loro scopo è quello di eliminare vita umana e natura per fare passare il treno al posto dei bisonti.
Certo questa è la civiltà, ma è la loro e non è l’unica e ormai visibilmente sta morendo: È solo quella dominante ed è in nome dello Stato democratico che si lanciano lacrimogeni cancerogeni proibiti ovunque nel mondo.
Per i servi della disinformazione mercenaria, questo non è niente a confronto della scandalosa rabbia ultraminoritaria  - un po’ scema, lo ammetto, perché ottiene solo di trasformare in vittime i carnefici - che urla il suo sdegno e la sua frustrazione minacciando a vanvera.
Caselli non ha potuto presentare un libro e ha subito minacce, ma i valligiani sono espropriati per sempre della loro valle e sono ridotti a vivere in una riserva indiana.
Peccato opporsi all’alienazione dell’autorità usando lo stesso comportamento alienato. Peccato evocare minacce mafiose. Questo a me non piace per niente e mai lo farei. Se mi ci trovassi, andrei da Caselli e gli chiederei dei conti da uomo a uomo sulla responsabilità di non assistenza a popolo in pericolo nel nome di una legge che è umanamente ingiusta se lascia liberi i criminali finanziari e i mafiosi mentre imprigiona inermi infermiere perché antagoniste.
Avrei il diritto cittadino di farlo? Ne dubito.
Tra un insulto a un carabiniere e una manganellata preferirei beccarmi l’insulto. Bene ha fatto il carabiniere a non reagire allo sfogo più che alla provocazione del giovane valsusino, ancora meglio se per 1300 euro mensili non ha picchiato nessuno e non ha tirato lacrimogeni cancerogeni.
Tutti questi stupidi giochi di ruoli sono il prezzo dell’alienazione collettiva, delle squallide battaglie tra tifosi. Solo che i tifosi dello Stato in divisa non rischiano di andare in galera per avere aiutato un ferito e non rischiano la morte per elettrocuzione.
Dove sono i terroristi in Val di Susa? Chi li evoca gioca all’apprendista stregone e rischia d’inventarli come hanno contribuito a inventarli le bombe di piazza Fontana.
Si può essere contro il terrorismo alzando, però, una bandiera che non sia né sadica né masochista: né guerrieri né martiri! E quindi resistere, resistere, resistere, non perché lo dice un magistrato ma la nostra coscienza e la nostra volontà di vivere.
L’ideologia guerriera è una trappola che allontana le rivoluzioni necessarie nel nome militante di vendette da frustrati, tuttavia la frustrazione esiste e non ci si può scandalizzare che esploda quando si è umiliata la volontà di vivere di una popolazione.
Chi semina vento raccoglie tempesta e ne ha una gran parte di responsabilità.
I giornalai embedded auscultano col centimetro mercenario di un’ideologia democratica degna di Abu Graib i gesti scandalosi degli insorti, mentre coprono con una benevolenza da servi dei più arcaici dittatori la violenza sistematica dello Stato e dei suoi accoliti.
Io odio la violenza e la considero controrivoluzionaria, ma odio ancora di più i violenti e i vigliacchi che sostengono la violenza imposta a chi non può difendersi perché non ha armi e soprattutto non ha le leggi dalla sua parte, proprio come Sitting Bull e Geronimo.
Nei diritti dell’uomo c’è quello di potersi ribellare al sopruso e nessuna democrazia è tale se la volontà generale dei corrotti può fare tabula rasa del territorio vitale di una minoranza locale concreta. Da sempre, il colonialismo non è altro che questo.
La prova che la democrazia rappresentativa è la forma finale del sopruso statale imposto dal modo di produzione capitalista sta nel fatto che la volontà separata del business possa decidere il destino delle situazioni locali e della vita quotidiana degli individui senza che i locali abbiano la prima e l’ultima parola in proposito.
Una vera democrazia ha le sue radici nel locale e nei Consigli che lo gestiscono per allargarsi poi fino al planetario e non viceversa.
La polemica facile sull’egoismo del Nimby (non nel mio giardino) andrà rovesciata da chi porterà al mondo la buona novella di una democrazia diretta. Soltanto quel che qualcuno vuole nel suo giardino potrà essere messo in opera, perché l’uomo tornerà ad avere la priorità sulle merci e il valore d’uso riprenderà il sopravvento sul valore di scambio.
In Val di Susa, oltre tutte le ideologie reazionarie e rivoluzionarie, è una parte del destino della società umana che è in gioco.

Sergio Ghirardi