Quando, l’estate scorsa,
riflettendo sul nodo cruciale della Val di Susa, ho messo in circolazione sul
blog Barraventopensiero.blogspot.com l’articolo «Val di Susa e Little Big Horn»
non immaginavo che i fatti mi avrebbero, purtroppo, a tal punto dato ragione.
Quella che voleva essere una metafora di riferimento si dimostra oggi come una
triste e tragica realtà.
Chi avesse la curiosità
di leggere quel che ho scritto nel giugno scorso, capirebbe subito che sono
vicino, solidale e partecipe della resistenza dei valsusini e di quanti li
appoggiano nella disperata difesa del loro territorio vitale. Non ripeterò
dunque le sacrosante motivazioni dei NOTAV alle quali nessun specialista e/o
nessun politico ha mai risposto nel merito. Chiunque può soppesarle,
confrontandole con le fumose tesi opposte dai favorevoli alla cosiddetta alta
velocità.
Lo spettacolo dà in
pasto ai suoi consumatori gli accadimenti con precisione maniacale, cita frasi
dette e ripete slogan senza mai smettere di gargarizzarsi di democrazia quasi
fosse un vaccino magico contro tutti i conflitti, ma proprio questo suo essere
vigliaccamente embedded senza discussioni non offre spazio per farsi una
ragione non ideologica.
Scegli il tuo party,
cittadino sovrano: stai con i violenti, anarchici, improduttivi, insurrezionalisti
che vogliono mettere a ferro e fuoco il paese oppure con le istituzioni che
lavorano alacremente e sobriamente per il bene di tutti e con le forze
dell’ordine che difendono la democrazia in pericolo dall’assalto dei barbari
incivili?
Leggo ancora oggi -
Cancellieri docet - che l’opera non è più discutibile. Ma quando mai è stata davvero
discussa? Sento che l’habitué dei ruoli istituzionali dal salario conseguente,
Fassino, si preoccupa che i valsusini rifiutino anche la versione light
(secondo il suo illuminato parere) del cantiere. Certo il burocrate filiforme
che lo abita non è molto abituato alla passione politica gratuita e alla
coerenza delle idee; ha sempre fatto i compiti che gli si chiedevano per garantirsi
l’impiego. È scivolato da una poltrona all’altra di qualunque partito di
sinistra che gli garantisse di non doversi mai alzare e lavorare per un salario
da proletario.
L’excomunismo di Fassino
assomiglia a una carriera senza amore. La sua internazionale è quella delle
banche, che le abbia o no. E lo stesso vale per Bersani che deve arrendersi al
fatto che le Brigate Rosse sono state e sarebbero ancora la faccia arcaica
speculare dei suo burocratismo da sacrestia o da comunione e liberazione.
In val di Susa degli
individui senza curriculum vitae, contadini, poeti, impiegati o marginali che
siano, difendono con i loro fragili corpi un rapporto vitale con la natura e
con un modo di vivere che nessun burocrate e nessuno Stato ha il diritto di calpestare.
Così per i tifosi il
discorso è chiuso, ma io vorrei invece provare a ricostruire un minimo i
meccanismi demagogici del potere e le contraddizioni di chi gli resiste perché,
in conclusione, oltre le manipolazioni e i distinguo interessati, la realtà
storica finisce sempre per venire alla luce.
Il tempo è galantuomo o
gentildonna ma alla fine i mostri vengono archiviati dalla storia come tali e
gli umani ricevono l’attestato della loro umanità calpestata.
Certo, può essere una
magra consolazione perché c’è spesso il tempo per gli opportunisti al servizio
di un proletariato da segreteria di partito democratico, di continuare il
proprio piano di carriera, sempre più socialdemocratico e sempre meno comunista
col variare metereologico delle ideologie di riferimento, e morire con un conto
in banca ben fornito.
Dall’altro lato del
parlamentarismo invece, le destre non si imbarazzano neppure un po’con queste
quisquilie ideologiche. Si battono direttamente come straccioni per denaro e sesso
mercantile come simboli concreti di un potere che sta accompagnando gli esseri
umani nella spazzatura della storia. Questi predatori hanno il dubbio merito di
essere visibilmente cinici e senza scrupoli e lanciano sul mercato delle
opinioni dei figurini politici e giornalistici il cui olezzo non lascia dubbi
al loro passaggio. Dai capi ai galoppini c’è solo l’imbarazzo della scelta: dai
Berluschini ai Bossoli, dalla Santainché agli Sgorbi, dai Feltrini ai Beipietro
sulla cui pietra tombale è stato affondato il giornalismo.
Talvolta, però, la
storia arriva imprevista all’appuntamento e allora per criminali e burocrati
sono tempi duri. Mi prendo dunque il piacere di scommettere su questo
rendez-vous troppo spesso mancato ma qualche volta goduto.
Allora saranno
semplicemente gli esseri umani ad opporsi alla disumanità del potere.
Ma prendiamo le distanze
e torniamo al passato. Trovatemi, dunque, un solo individuo anche solo moderatamente
sensibile che non risenta oggi come un oltraggio quel che la nostra civiltà
bianca, produttivistica e abbondantemente cristiana ha fatto subire, per
esempio, alle popolazioni indigene del Nord America, tanto per restare in tema
con il Little Big Horn.
Certo, il partito
trasversale del sadismo continuerà a blaterare di superiorità della civiltà, di
esportazione di democrazia e altre scempiaggini per rassicurare l’impotenza
diffusa dei suoi adepti a godere della vita, ma neppure Hollywood ha potuto
resistire al fascino di vendere la verità tanto a lungo nascosta: gli indiani
furono le vittime e i civilizzatori gli stupratori democratici della loro
resistenza, della loro ribellione.
Ormai si sa che i più
feroci cacciatori di scalpi erano bianchi, che nelle aule della Diaz c’erano
molotov di Stato, pardon, che nei doni del grande padre bianco c’erano coperte
al vaiolo e che il primitivismo bellicoso degli indigeni - si potrebbe dire il
loro disperato insurrezionalismo, non so se anarchico - era meno barbaro delle becere
abitudini dei loro civilizzatori. Insomma che chi ha il potere racconta
sistematicamente un sacco di balle per schiacciare i dominati e impedire loro
di rialzare la testa.
La Val di Susa,
comunque vada a finire, è un piccolo Chiapas oltre che Wounded Knee e non potrà
essere isolata per sempre. I dominanti riprodurranno, del resto, a ripetizione la
stessa situazione per i loro loschi affari di banche e di multinazionali, in
tutti i luoghi e con tutte le tribù. La Grecia è solo l’inizio, perché ovunque il
loro scopo è quello di eliminare vita umana e natura per fare passare il treno
al posto dei bisonti.
Certo questa è la
civiltà, ma è la loro e non è l’unica e ormai visibilmente sta morendo: È solo
quella dominante ed è in nome dello Stato democratico che si lanciano
lacrimogeni cancerogeni proibiti ovunque nel mondo.
Per i servi della disinformazione
mercenaria, questo non è niente a confronto della scandalosa rabbia
ultraminoritaria - un po’ scema, lo
ammetto, perché ottiene solo di trasformare in vittime i carnefici - che urla
il suo sdegno e la sua frustrazione minacciando a vanvera.
Caselli non ha potuto
presentare un libro e ha subito minacce, ma i valligiani sono espropriati per
sempre della loro valle e sono ridotti a vivere in una riserva indiana.
Peccato opporsi
all’alienazione dell’autorità usando lo stesso comportamento alienato. Peccato
evocare minacce mafiose. Questo a me non piace per niente e mai lo farei. Se mi
ci trovassi, andrei da Caselli e gli chiederei dei conti da uomo a uomo sulla
responsabilità di non assistenza a popolo in pericolo nel nome di una legge che
è umanamente ingiusta se lascia liberi i criminali finanziari e i mafiosi
mentre imprigiona inermi infermiere perché antagoniste.
Avrei il diritto
cittadino di farlo? Ne dubito.
Tra un insulto a un carabiniere
e una manganellata preferirei beccarmi l’insulto. Bene ha fatto il carabiniere
a non reagire allo sfogo più che alla provocazione del giovane valsusino,
ancora meglio se per 1300 euro mensili non ha picchiato nessuno e non ha tirato
lacrimogeni cancerogeni.
Tutti questi stupidi giochi
di ruoli sono il prezzo dell’alienazione collettiva, delle squallide battaglie
tra tifosi. Solo che i tifosi dello Stato in divisa non rischiano di andare in
galera per avere aiutato un ferito e non rischiano la morte per elettrocuzione.
Dove sono i terroristi
in Val di Susa? Chi li evoca gioca all’apprendista stregone e rischia
d’inventarli come hanno contribuito a inventarli le bombe di piazza Fontana.
Si può essere contro il
terrorismo alzando, però, una bandiera che non sia né sadica né masochista: né guerrieri né martiri! E quindi
resistere, resistere, resistere, non perché lo dice un magistrato ma la nostra
coscienza e la nostra volontà di vivere.
L’ideologia guerriera è
una trappola che allontana le rivoluzioni necessarie nel nome militante di vendette
da frustrati, tuttavia la frustrazione esiste e non ci si può scandalizzare che
esploda quando si è umiliata la volontà di vivere di una popolazione.
Chi semina vento raccoglie
tempesta e ne ha una gran parte di responsabilità.
I giornalai embedded
auscultano col centimetro mercenario di un’ideologia democratica degna di Abu
Graib i gesti scandalosi degli insorti, mentre coprono con una benevolenza da servi
dei più arcaici dittatori la violenza sistematica dello Stato e dei suoi accoliti.
Io odio la violenza e la
considero controrivoluzionaria, ma odio ancora di più i violenti e i vigliacchi
che sostengono la violenza imposta a chi non può difendersi perché non ha armi
e soprattutto non ha le leggi dalla sua parte, proprio come Sitting Bull e
Geronimo.
Nei diritti dell’uomo
c’è quello di potersi ribellare al sopruso e nessuna democrazia è tale se la
volontà generale dei corrotti può fare tabula rasa del territorio vitale di una
minoranza locale concreta. Da sempre, il colonialismo non è altro che questo.
La prova che la
democrazia rappresentativa è la forma finale del sopruso statale imposto dal
modo di produzione capitalista sta nel fatto che la volontà separata del
business possa decidere il destino delle situazioni locali e della vita
quotidiana degli individui senza che i locali abbiano la prima e l’ultima
parola in proposito.
Una vera democrazia ha
le sue radici nel locale e nei Consigli che lo gestiscono per allargarsi poi
fino al planetario e non viceversa.
La polemica facile sull’egoismo
del Nimby (non nel mio giardino) andrà rovesciata da chi porterà al mondo la
buona novella di una democrazia diretta. Soltanto quel che qualcuno vuole nel suo
giardino potrà essere messo in opera, perché l’uomo tornerà ad avere la
priorità sulle merci e il valore d’uso riprenderà il sopravvento sul valore di
scambio.
In Val di Susa, oltre
tutte le ideologie reazionarie e rivoluzionarie, è una parte del destino della
società umana che è in gioco.
Sergio Ghirardi